Viaggio nell’estetica del vuoto

Secondo il Sutra del Loto, uno dei più importanti testi buddhisti, “la forma è il vuoto, e il vuoto è forma”. Tale affermazione, che può sembrare paradossale, costituisce uno dei punti cardine del design e della cultura giapponesi e stabilisce che l’assenza può essere importante quanto la presenza. Questo concetto si può riassumere nel termine “MA”, che significa “spazio, intervallo, pausa” e si riferisce allo spazio negativo, alla percezione di un intervallo. Nell’immaginario collettivo il concetto di vuoto è indissolubilmente legato al mondo delle arti e all’architettura giapponesi. Si tratta, però, di un concetto spesso frainteso, che sarebbe ingiusto ridurre a una mera sobrietà di forme e spazi. Erroneamente associato in via esclusiva al Buddhismo Zen, permea in realtà anche le forme architettoniche proprie dello Shintoismo, la religione autoctona giapponese. La sua comprensione spalanca le porte su un universo di bellezza che non è mero esercizio estetico e che ben vale la pena di scoprire con un viaggio nel Paese del Sol Levante.

Il peso del vuoto nell’estetica giapponese è evidente in particolar modo nei giardini Zen, nella fattispecie in quelli definiti karesansui (“giardini secchi”). Uno degli esempi più celebri è certamente il Ryoanji di Kyoto, realizzato nel XVI secolo e concepito come una sorta di oggetto da meditazione che permette a chi lo osserva di testare la propria capacità di realizzare il vuoto con la propria mente. Particolarità di questo giardino sono le sue quindici pietre che, adagiate su un rettangolo di ghiaia di circa 250 metri quadrati, non sono visibili nella loro totalità da nessuna angolazione. 

Incarnazione più contemporanea del concetto di vuoto applicato all’arte dei giardini è il Museo d’arte Adachi, i cui giardini sono stati pensati per essere ammirati dall’interno dell’edificio, come fossero dipinti viventi che mutano seguendo l’avvicendarsi delle stagioni. Il giardino più rappresentativo è quello di ghiaia bianca e pini, un paesaggio immacolato impreziosito da una cascata. Sono inoltre presenti un giardino di muschio, un giardino con stagno e un giardino karesansui.

Intervallo di quiete nel caos dei quartieri più trendy della capitale, il Nezu Museum di Aoyama è sintesi meravigliosa dell’architettura di Kengo Kuma, che ha curato la ristrutturazione dell’edificio, e della sofisticata eleganza dei giardini giapponesi, con 17000 metri quadrati di verde ispirati alla bellezza delle montagne nipponiche. Tra le oltre 7600 opere che ospita, tra cui si annoverano ben sette Tesori Nazionali, tra cui “Iris”, preziosissimo paravento dell’artista Ogata Korin, simbolo dell’arte pittorica del periodo Edo nonché splendido esempio di applicazione dell’estetica del vuoto (attenzione però: è esposto al pubblico solo in alcuni momenti dell’anno).

Anche nell’ikebana, l’arte della disposizione dei fiori recisi, lo spazio vuoto che circonda i rami e i fiori è considerato parte integrante e ugualmente importante delle composizioni. Le sue origini sono da ricercare nel tempio Rokkakudo di Kyoto dove, nel XV secolo, Sankei Ikenobo, abate del tempio, era solito offrire a Kannon, dea della misericordia, composizioni floreali di rara bellezza. Dal suo stile, che prese il nome di ike-no-bo, nacque l’arte dell’ikebana, che oggi conta una moltitudine di stili e scuole. Anche oggi il Rokkakudo continua ad essere un punto di riferimento per l’ikebana: il caposcuola dello stile ike-no-bo è sempre, infatti, il superiore del tempio. L’edificio, ricostruito per l’ultima volta nel periodo Meiji (1868-1912), deve il suo nome alla pianta esagonale dell’edificio principale. Pur nelle sue dimensioni contenute l’area del tempio è una tappa di quiete e fascino con i salici piangenti e le grandi lanterne in pietra che ne adornano il giardino.

Il legame tra estetica del vuoto e Buddhismo Zen si ritrova anche nella cerimonia del tè e negli oggetti ad essa legati, di cui sono rappresentative le ceramiche Raku, realizzate a mano senza l’utilizzo del tornio, procedimento a cui si devono le imperfezioni e le forme irregolari che ne determinano il sobrio fascino. Apprezzatissime anche fuori dal Giappone rappresentano una tradizione di oltre 450 anni che si può ripercorrere al Museo del Raku di Kyoto, situato nel quartiere Nishijin, accanto alla residenza e al laboratorio della famiglia Raku.

I santuari di Ise, nella prefettura di Mie, sono uno dei luoghi più importanti per lo shintoismo. Il complesso, che sorge all’interno del Parco Nazionale Ise-Shima, consta di 125 santuari, due dei quali di enorme rilevanza: Naiku (dedicato ad Amaterasu, dea del sole) e Geku (dedicato a Toyouke-no-Omikami, divinità dell’agricoltura e del cibo). Naiku, l’edificio principale, è in gran parte precluso al pubblico. L’accesso è consentito solo all’Imperatore e ai sacerdoti anziani. Nonostante ciò, l’atmosfera solenne rende la passeggiata nella natura che cinge il complesso un’esperienza difficile da dimenticare. Nei pressi del complesso si snodano Okage Yokocho e Oharaimachi, due distretti dove ci si può ritagliare una pausa da dedicare allo shopping di souvenir e artigianato locale o riposarsi in una delle tante locande dove assaggiare le specialità locali.